Empatia Digitale: capitolo 2

L’empatia digitale è una scelta che facciamo partendo dai nostri valori personali. Uno di questi è la responsabilità. Un concetto che mi porta a pensare al gioco del domino. Noi facciamo cadere la prima pedina generando la caduta di quelle successive fino a generare un flusso a cascata che credo sia un buon punto di partenza per riflettere sui nostri contenuti digitali. Riassumerei la riflessione così:

La prima tessera è la nostra scelta: apparentemente innocua ma in realtà capace di produrre un effetto importante sugli altri.

Volendo ampliare la nostra riflessione, proviamo a identificare quella prima tessera del domino con una parola e le successive come i pensieri delle persone. Diventa più semplice capire perché non possiamo sottovalutare quello che decidiamo di scrivere o di condividere sui social media. La scelta e l’intenzione sono due elementi importanti della nostra comunicazione. Da un lato determinano il messaggio che noi vogliamo donare al mondo, e quindi parlano di noi, dall’altro contribuiscono a generare emozioni nelle persone che intercettano il nostro contenuto.

Proviamo solo a pensare a quante informazioni accogliamo ogni giorno nel tempo che trascorriamo sui social network. Cosa generano quelle informazioni? In quali emozioni restiamo ingabbiati? E quante di queste sono costruttive e utili? Queste domande sono sufficienti per aprirci a nuovi sguardi: basta mettersi dall’altra parte per rendersi conto che anche noi contribuiamo alla diffusione di informazioni. Se sono utili o generano solo emozioni distruttive questo dipende dalla nostra scelta. Quella che fa cadere la prima tessera del domino.

Quando condividiamo un contenuto, che sia nostro o di altri, ricordiamoci sempre che stiamo contribuendo alla diffusione di un racconto che non resta inosservato. Uno o un milione di persone che lo intercettano fa lo stesso: la cura che dobbiamo metterci è la stessa. Lo so che la condivisione è irresistibile quando si tratta di un contenuto che ci fa arrabbiare o ci genera disagio: vorremmo urlare al mondo l’ingiustizia e il nostro disgusto. Ma è utile? Questa è la domanda che dobbiamo tenere a mente. Condividere solo per raccontare il nostro stato d’animo senza aggiungere valore non è costruttivo. E per valore intendo sia informazioni che abbiamo perché siamo esperti sul tema sia considerazioni in più sulla base di dati o notizie di altre fonti. Un modo interessante per offrire valore è anche quello di porre domande che diano vita a una conversazione utile e formativa per tutti.

Quello che leggiamo e ascoltiamo ogni giorno distorce la nostra percezione del mondo perché attiva un bug mentale che gli psicologi Amos Tversky e Daniel Kahneman chiamano Euristica della Disponibilità: le persone stimano la probabilità che accadano degli eventi in base al numero di eventi simili che riescono a ricordare. E quali sono gli episodi che ricordiamo maggiormente? Quelli che ci coinvolgono emotivamente. Questo spiega perché è diventato necessario prestare attenzione ai contenuti che veicoliamo così come a quelli che intercettiamo noi stessi.

Ti accorgi di quello che scrivi?

Qualche anno fa Arianna Huffington, fondatrice del progetto Thrive Global , Shawn Anchor, autore di besteller e Michelle Gielan, conduttrice della BBC, si sono dedicati a una ricerca che ha messo in luce un aspetto interessante. Anche solo dieci minuti di lettura delle notizie al mattino influenzano le successive 6 ore della nostra giornata. Se in modo positivo o negativo dipende da quello che leggiamo e ascoltiamo.

Questa ricerca ci aiuta ad attivare la consapevolezza di non poter essere superficiali rispetto all’informazione. Ciò che introduciamo nelle nostre giornate sotto forma di notizie di ogni genere e provenienti da ogni fonte non passa inosservato nel nostro cervello. La stessa attenzione, però, dobbiamo metterla nel valutare ciò che noi condividiamo: i nostri contenuti influenzano la vita degli altri. Avere questa consapevolezza ci aiuta a essere comunicatori migliori. C’è sempre una persona al di là del nostro contenuto. 

Comunicare è come attivare una connessione con le persone. Per questo è importante farlo nel mondo più consapevole e responsabile possibile.

La nostra ambizione più grande dovrebbe essere quella di essere utili alle persone a cui siamo collegate sui social network. I post, i messaggi e i commenti (sì, per me anche un commento è un contenuto) agiscono come se fossero i nostri occhi e le nostre orecchie: si muovono nella realtà che viviamo per scegliere le storie e restituirle agli altri. Queste scelte influiscono inevitabilmente sulla percezione che ognuno di noi ha del mondo in cui viviamo.

Se è vero che la realtà è qualcosa che esiste oggettivamente, la percezione è una personale interpretazione di essa. In pratica è ciò che noi pensiamo di quella realtà. Per questa ragione è importante scegliere bene in fatto di storie da condividere. L’obiettività è un concetto che abbiamo fatto nostro e che chiediamo a gran voce a chi fa informazione: ma non può esistere. Almeno fino a che a scrivere sono esseri umani con la capacità di interpretare i fatti.

Come si traduce tutto questo a favore dell’empatia digitale? L’informazione non può essere obiettiva ma deve essere onesta. E l’onestà si collega fortemente al principio di responsabilità.

Responsabilità sui social

Uno dei territori più spinosi della comunicazione digitale è certamente quello della condivisione delle notizie che leggiamo sui media.

Negli ultimi decenni l’informazione ha preso una strada tortuosa che ha portato a un forte calo di qualità a favore della quantità. Una scelta che paghiamo tutti in forma differente. E non mi riferisco alle fake news, quelle sono notizie che nascono già con la natura di bufale.

Mi riferisco, invece, alle notizie vere che vengono presentate in modo superficiale, piene di stereotipi e dettagli distruttivi e che spesso si muovono sul filo della polemica. Queste sono ancora più pericolose delle notizie false: sono subdole e finiscono per interferire seriamente con il nostro stato emotivo.

Carl Jensen, professore californiano, ha coniato, negli anni Ottanta, il termine Junk Food News per definire questa categoria di notizie. Per lui il giornalismo spazzatura è quello che pone l’attenzione su ciò che non ha senso a discapito delle cose più importanti. Queste sono le notizie a cui dobbiamo prestare attenzione come lettori e ascoltatori ma anche come abitanti attivi dei social network. Stiamo alla larga da queste notizie, proviamo a verificare sempre quello che è stato scritto e chiediamoci a più riprese se quello che stiamo leggendo è un contenuto utile.

Il mondo è complesso ed è molto di più di quello che leggiamo o ascoltiamo. Anche i temi di attualità a cui i media dedicano tanto spazio spesso vengono trattati con superficialità. Ma se da un lato è compito dei professionisti dell’informazione avere cura della narrazione, dall’altro è una nostra responsabilità contribuire o meno alla diffusione di quella informazione.

Proviamo a prenderci il tempo per riflettere:

  1. Viviamo in un mondo interconnesso. Così tanto che le crisi che avvengono altrove nel mondo prima o poi bussano anche alla nostra porta. E l’attualità ce lo dimostra sempre più frequentemente. Come esseri umani abbiamo sempre più bisogno di conoscere quante più storie possibili che accadono nel mondo. Ognuno di noi, inoltre, ha la responsabilità sociale di educare gli altri con l’esempio, con le parole scelte e con i messaggi condivisi.
  2. Scegliamo di condividere l’umanità. Se non comprendiamo la complessità del mondo difficilmente potremmo arrivare a risolvere i problemi che viviamo. Nutrirsi di junk food news ci impedisce di diventare persone responsabili e proattive. Per mantenere la lucidità utile a cercare nuovi strade e offrire nuove visioni occorre un nutrimento costruttivo e sano.

Sono tante le storie di vita che alimentano il pianeta. La vera sfida di chi comunica è quella di trovare anche storie che raccontano possibilità, opportunità, rinascite, soluzioni e risposte a ciò che non funziona. Di sicuro non sono le storie più semplici da trovare ma restano le più affascinanti e utili.

Mariagrazia Villa, contributor di Empatia Digitale

Docente di etica della comunicazione e autrice del libro “Il giornalista digitale è uno stinco di santo“, Mariagrazia Villa è una professionista di cui ho grande stima per la sua capacità di utilizzare le parole per arrivare al cuore delle persone. Da lei traggo sempre ispirazioni su come applicare l’empatia e la gratitudine nella comunicazione partendo al profondo rispetto per le persone. Nel mio libro Empatia Digitale, Mariagrazia ha donato diversi spunti di riflessione sul mondo della comunicazione digitale. Amo molto un suo pensiero che si sposa molto bene con il concetto di responsabilità:

Non dimenticare che il tuo contenuto contribuisce a costruire la realtà altrui.

L’invito di Mariagrazia è di impegnarci tutti a diventare buoni cittadini della Rete tenendo conto del fatto che ormai non possiamo più distinguere una realtà materiale/analogica e una realtà virtuale/interattiva. Viviamo in una dimensione “onlife” connessa con il digitale. Quindi dobbiamo imparare a comportarci online come ci comporteremmo offline.

Pubblicare o condividere un contenuto sui social media è un atto di responsabilità che richiede alcune attenzioni:

  1. Cerchiamo il linguaggio dell’essere, non dell’apparire nei nostri contenuti. Una comunicazione autentica è più efficace perché leale sia nei nostri confronti sia nei confronti del nostro pubblico. Quando siamo autentici ci stiamo mettendo in gioco e questo ci permette di alimentare una relazione di fiducia con gli altri.
  2. Tacere è un ottimo strumento di comunicazione, soprattutto se non sappiamo cosa dire perché siamo arrabbiati, confusi o inquieti. Se decidessimo di comunicare in questo stato, infatti, potremmo generare confusione negli altri oltre che reazioni incontrollate. Niente che faccia bene alla comunicazione.
  3.  Chiediamoci se il contenuto che stiamo condividendo ha una qualche forma di utilità pratica o morale per chi lo riceverà. Se ciò non dovesse essere meglio non andare ad alimentare il flusso distruttivo del mondo digitale.

Sembra un percorso complesso e forse a tratti lo è. Nel tempo che viviamo e con gli strumenti digitali che abbiamo a disposizione è diventato fondamentale diventare lettori critici piuttosto che passivi. E con l’essere critici intendo sviluppare la capacità di analizzare, verificare, costruire. Perché in questo modo si può davvero praticare l’empatia digitale e si contribuisce a una migliore informazione.